sabato 18 ottobre 2008

Suonare mondi possibili.Intervista di Arturo Tallini parte seconda di Empedocle70

E.: Sempre nel suo sito internet lei ha messo a disposizione l’mp3 di Electric Counterpoint di Steve Reich, un pezzo per chitarra elettrica scritto nel 1984 per chitarre elettriche ed eseguito da Pat Metheny e che tempo è diventato uno dei pezzi di riferimento nel repertorio contemporaneo. So che è un pezzo decisamente difficile e complicato basato sulla sovrapposizione contrappuntistica di 9 tra chitarre e bassi elettrici. La sua interpretazione mi sembra realizzata con una chitarra acustica e caratterizzata da un suono più scarno e meno riverberato rispetto all’originale e all’ edizione di David Tanenbaum, vuole raccontarci quale è stata la sua esperienza per realizzare questo pezzo? Le capita di eseguirlo dal vivo?

Reich: Electric Counterpoint con Centocorde, diretti da Guido MunerattoMilano, Scuola Civica 2007
http://www.4shared.com/account/file/58502662/6ce82156/reich_Electric_Counterpoint.html?sId=gCI0isHoAjewopog

A.T.: L'esecuzione sui miei siti e' dal vivo, quella su Myspace riguarda lo stesso concerto di Milano e è fatta su una chitarra classica da concerto.
La mia impressione di quel pezzo e' quella di un magma informe e un po' ipnotico da cui il solista esce e rientra in continuazione; lo trovo un pezzo bellissimo che non risente di un difetto che è frequente nel repertorio minimalista, il cadere nell' inesorabilità del meccanismo che fagocita la stessa idea artistica che l'ha generato
.

E.: Le confesso di essermi avvicinato alla sua musica dopo aver visto il suo video su you tube di Ko-tha di Giacinto Scelsi, pezzo da lei inciso nel suo bellissimo disco “Blu”, Scelsi è stato un compositore famoso per il sentimento di trascendenza e di spiritualità non di maniera che trapela dalle sue opere, come ha deciso di incidere questo pezzo dove la chitarra viene trasformata in uno strumento da percussione? E’ possibile cogliere dei parallelismi con la musica tradizionale giapponese per koto?




A.T.: Non posso parlare di questo repertorio, che non conosco; pero' vorrei citare la frase che mi disse Giuseppe Pepicelli, mio collega e carissimo amico proprio alla fine di quella esecuzione: "bellissimo, ad un certo punto ho sentito un cambiamento nello stato di coscienza".
Ecco, credo che Scelsi persegua proprio questo tipo di situazione, in tutta la sua musica. Lui si dichiarava un tramite fra mondo orientale e mondo occidentale e passava ore a improvvisare.
La sua ‘poetica di un solo suono’ , come è stata definita, è quanto di più potente si possa concepire in termini musicali: il suono visto come un prisma continuamente cangiante, con 1000 sfaccettature, enormi potenzialità di sviluppo. Scelsi diceva sempre che la sua musica andava improvvisata: contraddizione apparente, simile a quella di Maderna, ma credo che quello che lui ci chiede è di mantenere sempre viva la caratteristica di nascita, emersione, che ogni atto compositivo ed esecutivo porta sempre con se.
L'altra cosa che lui ci chiede, affrontare l'esecuzione come un atto mistico, di preghiera, non mi appartiene, visto che non sento nessun bisogno di trascendenza nella mia vita; quello che lui chiama trascendente e' diventato per me, compiere, attraverso questo incredibile brano, un viaggio dentro sé stessi, verso quel trasformare in atto ogni potenza, che, secondo me, è il vero senso della trascendenza.

Un’ultima osservazione a proposito del fatto che qualcuno afferma (solo in Italia, peraltro) che Scelsi non sia stato l’autore delle sue musiche; mi riferisco ai molti che, negli anni hanno dichiarato che la musica di Scelsi in realtà l’avevano scritta loro… questo equivoco nasce da una sostanziale lontananza di Scelsi dal modo tradizionale di concepire lo scrivere musica: lui improvvisava su una piccola tastiera, registrando, e poi aveva una serie di collaboratori (molti dei quali ho conosciuto di persona) che trascrivevano le sue improvvisazioni, e lui sorvegliava in maniera maniacale il lavoro di trascrizione.
In seguito a questa sua abitudine di lavoro si è diffusa la leggenda che altri abbiano scritto la sua musica: ma allora mi sorge una domanda: se la musica di Scelsi è in realtà di altri compositori, la musica di costoro, invece, dove sta? E perché mai un compositore dovrebbe decidere di lavorare per un altro compositore, permettergli di appropriarsi della sua musica e, grazie a questo, permettergli pure di diventare una celebrità fin dagli anni 80? La SIAE esiste proprio per questo!


E.: Dalla sua discografia si intuisce una sua disponibilità per collaborazioni e progetti musicali particolari, sono rimasto in particolare colpito dalle sue collaborazioni con cantanti jazz come Ada Montellanico, con cui ha realizzato il bellissimo cd “Zorongo” Omaggio a Garcia Lorca, e Marilena Paradisi, con cui ha iniziato il progetto “Intuendo”. Come sono nate queste collaborazioni? Cosa si prova a suonare a fianco di cantanti jazz? Pensa di incidere un cd anche con Marilena Paradisi?

A.T.: I due progetti che cita sono molto diversi fra loro; Zorongo è nato dalla necessità di riscrivere le canzoni popolari di Garcia-Lorca che nella ’vulgata’ chitarristica circolano in edizioni quasi sempre facilitate che riducono un po’ troppo l’accompagnamento chitarristico ad accordi semplici, mentre l’armonizzazione del poeta spagnolo è ben più interessante; per quanto riguarda la scelta di Ada Montellanico, mi piaceva l’idea di usare una voce non classica, non appesantita dall’impostazione lirica e che avesse un colore un po’ inedito per questo tipo di repertorio: mi pare che l’intento sia stato realizzato bene.

Il progetto con Marilena, Intuendo, invece è su un piano completamente diverso, perché è basato sull’improvvisazione, non jazzistica né necessariamente atonale: inizialmente cio' che facevamo era pescare dentro il nostro immaginario musicale, con i suoi colori, stili, generi, per elaborarlo, evocarlo, variarlo e, in fondo, trascendendolo: ci e' cosi' capitato di fare una cosa che ricordasse ad esempio un blues o un samba, o un pezzo di Petrassi, ma che in verita' non erano ne l'uno ne l'altro, in quanto erano solo evocazione di quei colori.
Ora il nostro progetto si e' molto trasformato: non c'e' piu' l'idea del modello ma pura e semplice creazione di mondi sonori nuovi che non derivano altro che dall'ascolto di cio' che accade qui e ora.
A Maggio all’Università La Sapienza di Roma, abbiamo fatto un esperimento molto interessante: improvvisare su quadri di pittori contemporanei che non avevamo mai visto prima…un vero e proprio tuffo dentro sé stessi e dentro la musica…senza rete!

Si, c’è l’idea di fare un disco, e credo che sarà entro dicembre.

improvvisazione Live; Roma Università La Sapienza 2008

http://www.4shared.com/account/file/58505728/74445fc2/an_impro.html?sId=gCI0isHoAjewopog


E.: Sempre parlando di collaborazioni lei dal 2000 suona in duo con Eugenio Becherucci. Esiste un video su you tube dove suonate insieme:



http://www.youtube.com/watch?v=4VGjoJpxXzg

vuole parlarci di questa collaborazione e descriverci quello che suonate in questo video?

A.T.: Nel video suoniamo un brano di Eugenio basato su un testo di Jacopone da Todi in cui usiamo la voce, suoni percussivi sulla chitarra, e c’è una sorta di dialogo tra due identità, fra due pensieri: da una parte l’anelito di vita e dall’altra la minacciosa incombenza della morte continuamente evocata da uno dei due personaggi e così cara alla visione cristiano-cattolica del mondo: siamo nulla perché siamo finiti e tutta la nostra vita è un niente se paragonata alle grandezze dell’universo. Detto per inciso, è un punto di vista rispettabile ma che non condivido minimamente. Dal punto di vista musicale, invece, il brano è molto interessante perché, come spesso capita nella musica di Becherucci, c’è un uso parsimonioso e intelligente di materiali musicali che portano in sé il modalismo, la cultura popolare, una certa aleatorietà, sempre con un senso della sintesi che trovo ammirevole nelle sue musiche.

Per quanto riguarda il duo, Suoni Inauditi, è nato dalla fascinazione subita da ambedue nei confronti di Salut für Caudwell di Helmut Lachenmann, uno dei più grandi compositori tedeschi viventi. E' un pezzo incredibile, monumentale (dura fra l’altro circa 30’…); i due chitarristi sono chiamati a un vero tour de force esplorativo sulla chitarra, che viene usata per il 90% in luoghi inusuali (i suoni sono ad esempio quasi sempre nella zona fra il 19° tasto e il ponticello, con un bottle neck), con una complessissima ricerca sugli armonici. Come pure è spettacolare la sezione di 5’-6’ in cui i due musicisti declamano ritmicamente un testo in tedesco (preso da uno scritto di C. Caudwell, poeta marxista inglese), con effetti di frammentazione sillabica delle parole e destrutturazione verbale. Attorno a questo lavoro iniziale il duo si è coagulato attorno al repertorio contemporaneo per 2 chitarre; negli ultimi 2 anni, però, suoniamo anche programmi più classici, con la mia trascrlzione del Concerto Italiano di J. S. Bach, la sonatina Canonica di Castelnuovo-Tedesco e altro.

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