mercoledì 24 dicembre 2008

Ravi Shankar: ragas and talas parte terza di Empedocle70

Di quel periodo Shankar conserva un ricordo assai poco mitico e al di là dell'effimera piacevolezza della fama raggiunta ammette di essere andato a vicino a perdere la testa, cosa che non è avvenuta soltanto grazie alla già considerevole esperienza di vita e professionale maturata negli anni Cinquanta in Europa. I giudizi sui "colleghi" dell'epoca dimostrano l'appartenenza a una cultura e a una spiritualità che, per quanto la si voglia rendere vicina, non è comunque la nostra.
Uno per tutti valga il parere su jimi Hendrix: «Ha un talento straordinario, ma non apprezzo quei gesti osceni che fa in coppia con la sua chitarra, il fatto di darle fuoco alla fine del concerto dopo averla cosparsa di benzina. Mi è sembrato di vivere un incubo, sono rimasto profondamente colpito. Per me lo strumento con cui suono ha qualcosa di sacro, non potrei mai fare cose simili».
Shankar comprende ben presto che quel perverso intreccio tra ingenuità e spontaneità giovanile e interesse del “sistema” a tradurlo in dollaroni non poteva che condurre a una rapida fine di quell'esperienza. Consapevolmente sceglie allora di rinunciare ai concerti per oltre un anno e mezzo, si licenzia dal mondo del rock proprio mentre è all'apice della celebrità e torna a immergersi, con atto purificatorio, nella tradizione.
Non si tratta però, contro ogni aspettativa logica, di una chiusura del cerchio. La giovinezza e il periodo in cui è avvenuta la formazione umana e artistica di Shankar non sono state a senso unico e immediatamente sulla “retta via” come la sua immagine odierna può far pensare. Quando nasce a
Benares nel 1920, Robindra (questo il suo vero nome) è il più giovane di cinque fratelli e complice l'assenza colpevole del padre, che è piuttosto benestante ma non si occupa della famiglia, cresce non proprio nell'oro. Uday il fratello più anziano ha però un talento spiccato per la danza e si trasferisce ben presto in Europa, dove sviluppa uno stile personale e mette in piedi un corpo di ballo indiano che si esibisce con regolarità anche in America: per i tempi una vera attrazione esotica con tanto di strumenti "bizzarri" d'accompagnamento, come vengono allora definiti dal pubblico occidentale il sitar, il sarod, le tabla e quant'altro. Nel 1930 l'intera famiglia Shankar si trasferisce perciò a Parigi, ai tempi capitale artistica del mondo, con un viaggio in battello che tocca prima Brindisi e poi Venezia. Il giovanissimo Ravi entra a far parte nella troupe del fratello in qualità di ballerino e musicista, e si trova a viaggiare con regolarità al di qua e al di là dell'Atlantico. Sarà per la prima volta a New York nel 1932 dove ascolta Cab Calloway al Cotton Club. Ravi cresce in fretta e, oltre ad appassionarsi alle tradizioni artistiche della sua terra per il tramite di Uday, non ha difficoltà ad apprezzare le piacevolezze della bella vita mondana all'occidentale, tra un albergo a cinque stelle e l'altro. Una inarrestabile e inevitabile frenesia lo pervade durante tutta la sua fasce adolescenziale sino a quando, toccato dalle parole e dalla figura di Baba Allauddin Khan, non decide di mettersi nelle sue mani. Baba, figura quasi leggendaria della musica indiana, è un polistrumentista e un didatta di indubbio valore che nel 1935 si era unito per un anno alla compagnia di danza di Uday. Ma è anche un guru, e a lui il diciottenne Shankax decide di affidarsi per sette lunghi anni, a partire dal suo ritorno in India nel 1938. Un training durissimo e ascetico, al limite del fanatismo, che il tirannico Baba, morto ultracentenario nel 1972 e padre dei più volte citato Ali Akbar Khan, non fa nulla per alleviare. Ma Ravi lo ringrazìerà per sempre, per avergli ridonato in un certo senso la vita e reso chiara la via da percorrere.




Nella scuola di Baba a Mahiar, nell'India centrale, Ravi impara soprattutto che non si deve fare musìca per divertimento o per guadagno, bensì in quanto formidabile strumento di devozione e di conoscenza interiore, e un bravo musicista non è chi arriva a stupire il pubblico con il suo virtuosismo ma chi riesce a essere tutt'uno con il raga che sta eseguendo. Si tratta della continua ricerca di un’estasi perfetta che in realtà non si riesce mai a raggiungere ma che dev'essere lo scopo da perseguire se si vuole verosimilmente comprendere lo spirito della musica.
Dopo essersi forgiato al gharana di Baba, negli anni Quaranta Shankar si produce in concerti radiofonici, lavora insieme a compagnie teatrali di Bombay, compone musica per balletti. Poi nel 1949 si trasferisce a Nuova Delhi dove assume l'incarico di direttore musicale di All India Radio e compie nuove esperienze con una sorta di orchestra nazionale. In seguito ha modo di collaborare con il regista Satyajit Ray per il quale scrive e dirige varie colonne sonore, a cominciare da quella, composta in una notte davanti alle immagini che scorrevano, per il capolavoro Patber Panchali (1955), primo film indiano a raggiungere con successo le sale occidentali. Il rapporto con il cinema darà ancora frutti interessanti negli anni a venire, basti pensare alla sua partecipazione alle musiche di Chappaqua (1966) di Corirad Rooks, di I due mondi di Cbarly (1968) di Ralph Nelson, di Gandhi (1982) di Richard Attenborough e per quella piccola gemma del cinema d'animazione che è A Chairy Tale (1956) dei canadese Norman McLaren.
Il Shankar di oggi, come detto all'inizio, non pare aver intenzione di gettare la spugna, e più che godersi la pensione e guardare sonnacchioso all'orizzonte si preoccupa di allevare altre generazioni di artisti. Nel 2002 è infatti sorta a Delhi la Shankar Foundation, ospitata in un accogliente e ampio edificio, un po' archivio un po' centro di ricerca per accogliere studenti da allevare secondo i crismi della tradizione musicale indiana. Non è la prima volta che Shankar si preoccupa di restituire quello che ha ricevuto nella sua fortunata e non comune esistenza (nel 1962 aveva aperto la Kinnara Music School a Bombay, replicata a Los Angeles cinque anni dopo), ma in questa sua tenacia di continuare a dare e ricevere sino a quando i suoi dei glielo consentiranno non si può fare a meno di ammirare la profonda umanità e spiritualità di un artista che ha segnato profondamente le vicende della musica del Novecento al di là di qualsivoglia barriera stilistica.




Empedocle70

Cd consigliati:
- Ravi Shankar in Venice, Edelweiss 1991
- Ragas & Talas, Angel 1964
- LIVE: Ravi Shankar at the Monterey International Pop Festival, Angel 1967

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