martedì 12 maggio 2009

Due chiacchiere sugli errori e la paura con Christian Agrillo parte seconda

Emepdocle70: E’ possibile che un musicista di formazione classica reagisca e viva l’errore in concerto in modo diverso da un jazzista? Te lo chiedo perché ho la sensazione (magari sbagliatissima, è solo una sensazione) che per il musicista classico veda l’errore come un blocco insormontabile mentre il jazzista come un fattore possibile da sfruttare….

Christian Agrillo: Bisogna chiarire cosa intendiamo per “errore”. L’etichetta verbale “errore” definisce qualcosa di negativo rispetto a degli standard prefissati e, in quanto tale, è da scongiurare in ogni ambito musicale. Se per errore in questo caso intendiamo una variazione di note non prevista (in altezza o nel ritmo) potrei essere sommariamente d’accordo sul fatto che un jazzista può trovare meno problematico tale evento di un musicista classico. A volte per uno strumentista jazz una nota “fuori posto” può rappresentare l’apertura verso un nuovo scenario, sia essa giunta a seguito di un processo mentale volontario o come frutto di lapsus motorio. Al contrario, nella formazione di un concertista classico viene data un’importanza quasi religiosa alle indicazioni contenute nello spartito. Questo non ne pregiudica affatto la poesia, ed il panorama concertistico internazionale è pieno di grandi interpreti in grado di mantenersi fedeli allo spartito e, al tempo stesso, trasmettere forti emozioni, ma finisce – come hai sottolineato tu – per innescare quel flusso di pensieri che ti porta a vivere con disappunto ogni frase musicale non eseguita secondo le indicazioni del compositore.

Empedocle70: Un altro paragone con le arti marziali, tempo fa chiesi a un maestro di aikido giapponese (bravissimo, dalla tecnica semplicemente leggendaria) una domanda ingenua: “Maestro ma lei non sbaglia mai?” Premesso che eravamo alla terza birra di seguito, la risposta fu semplice e disarmante: “Certo che sbaglio solo che tu non te ne accorgi perché modifico l’errore mentre completo la mia forma!” Penso che nessuno sia infallibile e credo che anche i grandi musicisti sbaglino ma che riescano in virtù della loro grande esperienza, del bagaglio di conoscenze e di stili che accumulano nel corso della loro carriera a gestire l’errore inserendolo comunque nel quadro di una esecuzione impeccabile……….

Christian Agrillo: Sì, sono pienamente d’accordo, a volte capita di compiere un gesto diverso da quello eseguito di solito ed il grande concertista è quello che riesce ad assorbire il nuovo movimento nel progetto in itinere, quello in grado di riadattare il percorso in modo tale da non rendere il cambiamento particolarmente dissonante rispetto al complesso. Ma se anche così non fosse, mi preme esprimere un concetto importante: gli errori ci sono, ci sono stati, ci saranno sempre, ma non sono questi il barometro del giudizio del pubblico. Piuttosto spesso sono il barometro che ci auto-imponiamo per valutare la nostra esecuzione.
Nel libro “Suonare in pubblico” (edito da Carocci), alla fine di un capitolo dedicato ai vari sistemi per ottimizzare l’entrata sul palcoscenico, esprimo questo concetto largamente condiviso dalla comunità concertistica. Senza dilungarmi troppo, mi limito a riprendere le parole che il Maestro Zigante mi disse durante la stesura del libro. Alla domanda “Quanta importanza dà il pubblico ad un errore?”, rispose: “Il pubblico dà molta importanza ad un errore strumentale se non c’è nient’altro da cogliere.. Quando c’è un contenuto che va al di là, un contenuto soprattutto poetico-espressivo, l’errore passa quasi inosservato”.
Ora potremmo metterci qui a riempire le pagine di grafici e statistiche, ma credo che nessuna di queste trasmetterebbe il messaggio in maniera più incisiva di quanto abbia fatto il Maestro con una esigua manciata di parole.

grazie Christian..

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