domenica 3 gennaio 2010

Recensione di Grondona plays Asturias music by Albeniz, Stradivarius 2009


I musicisti sono come degli esploratori, dei pathfinders come ne esistevano una volta, i Livingstone, gli Stanley e anche gente come Bonatti, capaci di prendere in mano delle mappe scritte per loro da qualche geografo del passato, mappe da interpretare, da decifrare, da esplorare e da cui tornare per portarci una nuova rappresentazione del territorio.
Vi sembra una idea strana? Provate a pensare allo spartito musicale come a una mappa e al compositore come al geografo che la realizza e al musicista come all’esploratore che si avventura con in mano questa mappa, questo spartito e che torna raccontando il territorio che ha esplorato, che ha suonato per noi.
A ogni nuova esecuzione, a ogni nuova interpretazione si svela davanti a noi un nuovo territorio, una nuova rappresentazione dello spartito, che è testo e mappa assieme allo stesso tempo, linea guida per il musicista che lo deve seguire e allo stesso tempo svelare secondo il proprio gusto, la propria personalità, la propria esperienza.
Quante volte abbiamo sentito suonare Asturias? Quante volte ci siamo domandati, ancora? Perché questa domanda, che poi non è solo rivolta ad Asturias? Éerchè, a volte, succede che un musicista riesca a dare di una musica una rappresentazione di tale bellezza ed eleganza che questa nuova rappresentazione dello spartito diventi non solo un punto di riferimento ma questa uno nuovo canone stilistico a cui si sente l’obbligo, implicito o esplicito, di conformarsi. E’ successo con Segovia e succederà ancora. E’ come se di fronte a questa versione manchino le forze, manchi il coraggio di cercare nello spartito, nella mappa una nuova rappresentazione, un nuovo percorso per esplorare un territorio che in quanto visitato da torme di turisti si crede ormai esausto nelle sue possibilità. E’ questa forse la grande differenza tra un vero musicista (l’esploratore) e il semplice turista (il banale interprete): il coraggio, la cultura, l’intelligenza musicale ed emotiva di saper guardare lo spartito con occhi e sensibilità nuove, la capacità di esplorare in una nuova direzione, di segnare un nuovo percorso, di mostrare e rappresentare le cose in una nuova prospettiva, forse, di creare una nuova estetica e una nuova etica.
E’ per questo che non posso non ringraziare il Maestro Grondona che in collaborazione con la bravissima Laura Mondiello ha deciso di regalarci in chiusura del 2009 questo omaggio alla musica di Isaac Albeniz in occasione del centenario della sua morte. Il Maestro riesce anche in questa occasione a dare un saggio della sua arte, interpretando in modo squisito le musiche di Albeniz riuscendo nel miracolo di regalarci nuove interpretazioni e nuovi percorsi di ascolto di queste musiche che sono tra le più suonate in assoluto dai chitarristi classici. Come sempre suonando le Torres originali, equipaggiate con le nuove corde realizzate da Aquila Corde, i due chitarristi suonano dodici brani (tra cui la celeberrima Asturias) dimostrando ai pigri e agli sconfitti che per chi vuole fare queste mestiere di musicista non serve una mentalità da turista ma da esploratore e che anche nelle mappe e negli spartiti più conosciuti o suonati si possono trovare nuove vie, nuovi percorsi, riuscendo ad uscire dai soliti cliché e dai soliti stereotipi.
Alla fine, forse, come in una storia di Borges, il geografo e l’esploratore si troveranno ad esaminare un’unica mappa su cui sono rappresentate tutte le mappe dell’universo, a quel punto forse tutte le musiche diventeranno una musica sola, o forse, un solo suono …. non so.
Un grande disco registrato in maniera ineccepibile da Davide Piva e masterizzato da Andrea Dandolo e con una grafica e una packaging bellissimo curato dalla bravissima Patrizia Peruffo. Cinque Stelle!

Empedocle70

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