sabato 6 febbraio 2010

Intervista con Simone Massaron quinta parte


Con chi le piacerebbe suonare e chi le piacerebbe suonare? Che musiche ascolta di solito? Ascolti mai musica classica o musica per chitarra classica contemporanea?

Vorrei suonare di più con i miei amici/colleghi del collettivo El Gallo Rojo, musicisti che stimo moltissimo. Poi vorrei suonare ancora con Marc Ribot; Marc è un grandissimo musicista e vorrei avere la possibilità di realizzare un progetto di mie composizioni ispirate alle emigrazioni italiane dei primi del ‘900 con lui e altri musicisti. Ne abbiamo parlato, ma è molto difficile far quadrare gli impegni e soprattutto trovare i fondi.
Poi vorrei suonare con Fred Frith, con Gillian Welch e con Keith Richards.

Quali sono invece i suoi cinque spartiti indispensabili?

La mia formazione non mi porta ad avere spartiti ai quali sono affezionato, ma di sicuro citerei una copia del Real Book, una del Folksong Fakebook, le trascrizioni di Giovanni De Chiaro di Scott Joplin, e poi un paio di metodi tipo i primi due volumi di Almanac For Voice Leading di Mick Goodrick e i 120 arpeggi di Giuliani che studio con la tecnica ibrida plettro più dita.

Il Blog viene letto anche da giovani neodiplomati e diplomandi, che consigli si sente di dare a chi, dopo anni di studio, ha deciso di iniziare la carriera di musicista?

Di essere molto coerenti e di spingersi sempre ad avere le idee chiare su cosa si vuole suonare, con chi e quando. Di studiare il più possibile senza pregiudizi sui generi e su cosa si sta studiando, di fare pratica di improvvisazione tutti i giorni.
Cercare sempre di avere le condizioni ottimali per fare della musica il proprio lavoro, anche se questo significa trasferirsi all’estero considerato che l’Italia in questo momento offre il suo minimo storico a chi vuole fare della musica la sua professione. Trasferirsi in un altro paese a vent’anni è relativamente facile. Mi rendo conto che l’accettare questi consigli, metterli in pratica, comporti una buona dose di aggressività e determinazione, ma credo siano cose assolutamente necessarie.
In ultimo, e anche per contrasto, consiglio ai giovani di scrivere all’interno della propria custodia che suonare è divertimento, per se e per gli altri. Poniamoci di fronte al pubblico sorridendo, con umiltà, cercando di dare a loro il massimo, di farli divertire (nel senso più ampio del termine) senza necessariamente snaturare la propria arte per un fine commerciale. Ho visto gente divertirsi da matti a concerti di puro noise; se l’artista crede in quello che fa e lo fa con ottimismo il pubblico lo sente.


Quali sono i suoi prossimi progetti? Su cosa sta lavorando?

In questo momento sono molto concentrato sul mio progetto in solo con il quale è prevista un uscita in cd. Si tratta di rivisitazioni del repertorio tradizionale folk americano, inglese, irlandese, ebraico e di improvvisazioni libere ispirate a questa forma di canzoni.
Si chiama “Folksong From the Empty House” perchè è nato a seguito di un trasloco.
Dopo 15 anni ho lasciato la mia casa nell’hinterland milanese e ho sentito l’esigenza di registrare ancora qualcosa, questa volta sfruttando il suono fornito dalle stanze ormai vuote. Il risultato è stato l’intraprendere un viaggio di ricerca che sconfina spesso dalla musica e diventa una cosa intima. Sono attratto dal passato, dai ricordi, da ciò che resta nella nostra mente, da come un fatto venga catalogato come più importante rispetto a un altro. Improvvisando e suonando in queste registrazioni mi sono accorto cha stavo facendo un viaggio a ritroso, un saluto, un salto temporale. Adesso sto ultimando l’editing delle registrazioni.
Allo stesso modo e sempre del repertorio Folk ho fatto una registrazione in quartetto con gli amici del Gallo Rojo, Danilo Gallo e Max Sorrentini con l’aggiunta di Kyle Gregory alla tromba sfruttando i suoni della stanza vuote e posizionando i microfoni d’ambiente cercando di catturare il “suono di un trasloco”.
Sto lavorando anche al mio quintetto interamente formato da musicisti del Gallo Rojo. Si tratta di un faticoso mix tra avanguardia e rock & roll anni ’50 che ho chiamato “The Cunninghams”. Adoro questo gruppo e adoro scrivere e suonare queste cose. Sono legatissimo agli anni ’50 e alla creatività di quel periodo, ai suoni fender e alla mia telecaster. Il gruppo è formato da Sorrentini e Gallo più Piero Bittolo Bon al sax alto e Francesco Bigoni al tenore. Ovviamente di questi tempi muovere un quintetto e registrarlo autopromuovendosi è difficile, ma non mollo. Ci vorrà il suo tempo.
In ultimo è nato da poco un duo con Tiziana Ghiglioni, della quale sono già collaboratore da anni, con il quel sto riscoprendo il mio amore per il jazz.

L’ultima domanda … che cosa ha significato per te poter suonare alla Knitting Factory a New York?

Per me è come essere nel libro di Ralph Gibson insieme a Les Paul o Jim Hall: qualcosa che ho fatto o che è accaduto e che mi da felicità e fiducia quando ci penso.
Una stella nel proprio personalissimo e privato curriculum.
Poi mi ricordo che quando stavo suonando pensai al fatto che, alla fine dei conti, ogni palco è uguale. Ma quando avevo 20 anni sognavo di suonare un giorno a New York e sognavo di farlo alla Knitting Factory che allora era un vero e proprio mito. Mi ricordo che quando uscii di casa (stavo da un amico sulla 96ma) e presi la metro per andare a suonare alla Factory, ero eccitatissimo e ovviamente nervoso. Ebbi una grande ansia da palco quella sera, che fu mitigata dalla presenza dell’amico Nels Cline con il quale indugiai parecchio in alcolici, prima di suonare.



Grazie Simone!


Empedocle70

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