lunedì 15 febbraio 2010

Recensione di Monk: Decompositions and Recompositions di Pablo Montagne

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Una notte verso l’una stavo tornando a casa e vidi la luce accesa. Sentii della musica. Era un pezzo jazz per piano. Allora non lo sapevo, ma era Misterioso di Thelonius Monk. Improvvisamente il mondo mi sembrò più grande , il mio dolore restava lo stesso, ma era un grano di polvere, un ciottolo levigato, e scivolava sul mare immenso dei sentimenti degli altri.

Stefano Benni. Saltatempo, Feltrinelli Editore, 2003

Sublime personaggio Monk, una personalità musicale unica e ineguagliabile, capace di generare una forma d’ARTE che nasce da un’unica durevole illuminazione e che non ha evoluzione nel tempo: partecipa alla nascita del bebop e vivifica l’hard bop, ma non familiarizza con alcuna categoria collettiva, rimane a se stante come un pietra posta al centro di un giardino Zen, eternamente immutabile ma anche eternamente e diversamente rappresentabile a seconda dei giochi di luce e dai punti di vista. Un universo poetico che trova unità in un filo sottile, il segno inequivocabile di un genio che fonde tra il lavoro di un pianista e di un compositore, insolito, scomodo.

E’ in questa ambiguità, nelle infinite sfumature che la sua musica permette di generare che risiede il suo continuo successo e la sua sfida che continua ad attirare sempre nuovi musicisti, attirati dal territorio “Misterioso” dove è possibile ritrovare l’avanguardia e il classicismo jazz, la musica nera, il blue e le invenzioni della musica contemporanea.
Le sue complesse e allo stesso tempo scarne armonie intrigano, attirano il musicista in un gioco dove spesso “less is more” e dove la rappresentazione dello spazio gioca una componente fondamentale, mentre il desiderio di chi vuole avere una valida scusa per poter sottoporre il proprio strumento a una ricerca dei propri limiti e al loro superamento trova qui un valido appagamento.
E’ in questo contesto instabile che Pablo Montagne mette in gioco le proprie corde e le proprie abilità, rilanciando l’idea di Monk, quella di compositore e personaggio scomodo, fuori dai canoni, e riproponendo con forza la sua nuda materia musicale.
Un ascolto distratto dalle sonorità a volte aspre e dissonanti che escono dalle chitarre di Pablo potrebbe trovare in questo materiale musicale poco o nulla in comune rispetto altre interpretazioni impeccabili dal punto di vista stilistico ma povere per quanto riguarda il contenuto: qui si avverte forte e chiaro il desiderio di evitare la riproposizione leccata e leziosa a favore invece di un maggiore impeto, di una maggiore energia, di una maggiore contemporaneità nel riproporre la lezione (scomoda) di Monk.
Forse a Winton Marsalis non piacerà, ma a io mi sono innamorato del suo modo di suonare ‘Round Midnight. Avanti così. Senza copiare.

Empedocle70

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