lunedì 30 gennaio 2012

Recensione di The Room di Keith Rowe, erstwhile records, 2007


Scorrendo il flusso di oltre quattro anni di lavori del Blog Chitarra eDintorni Nuove Musiche mi rendo conto che non abbiamo mai parlato di Keith Rowe, solo una volta, a dire il vero, nel corso dell’intervista a Paolo Angeli.
Mea culpa averlo lasciato fuori finora, ma rimedio con questa recensione. Rowe non è un personaggio semplice, avanguardista sempre fedele al proprio credo, sperimentatore audace e polemico sornione, costruttore di strumenti, dissacratore di ogni tradizione e nemico di ogni virtuosismo tecnico, improvvisatore radicale alla costante ricerca di linguaggi e idiomi nuovi e non strutturati, non rappresenta certo un musicista di facile approccio.
Fondatore nel 1960 del gruppo di libera improvvisazione AMM ha sempre suonato la chitarra in maniera tutt’altro che convenzionale, ovvero tenendola sulle ginocchia o su un tavolo davanti a se e utilizzandola non nel modo che conosciamo ma piuttosto come una generatrice di rumore strutturato, facendola interagire con qualcunque cosa potesse permetterle di emettere suoni nuovi, diversi, spesso al limite dell’udibile.
La sua ricerca lo ha portato in campi diversi ad esempio dell’approccio dell’altro santo inglese dell’improvvisazione, Derek Bailey: come si può sentire in questo disco (uno dei pochi lavori solisti da lui firmati) Rowe gestisce rumori, feedback e drones in modo da creare una sorta di “ambient” a volte aspro, a volte soffice in anticipo di diversi anni rispetto a lavori nell’ambito della musica elettronica licenziati da etichette discografiche indipendenti come la Sub Rosa e al Mille Plateux.
Rowe è un vero artigiano del suono. Dalla sua chitarra smembrata e ricostruita genera improvvisazioni, materia sonora casuale, noise cacofonico, fondali di drones che la sua esperienza gestisce e assembra tra loro in modo quasi contrappuntistico in una unica traccia che si snoda lasciando la strana sensazione che niente avvenga per puro caso ma in base a un ordine sequenziale ben preciso, il tutto in un unico “stream of consciusness”.
Ascoltare la sua musica non è semplice, come in questo caso poi si pone spesso ai confini della sound art, ma è sicuramente utile perché la chitarra di Rowe è capace di scuotere, di porre all’ascoltatore non superficiale domande, interrogativi sulla natura del suono e della musica e su cosa significhi suonare uno strumento. Considerate quindi questo disco come un “generatore di esperienze” e lasciatevi stimolare.

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